Shining di Stanley Kubrick non ha mai smesso di definire la nostra paura

Il 23 maggio del 1980 usciva in sala il film tratto dal romanzo di Stephen King, semplicemente l’horror più influente di sempre

Shining di Stanley Kubrick è uno di quei film che hanno impresso una svolta così profonda, così palese nel cinema, che si può tranquillamente sostenere vi sia un prima e un dopo ciò che Stanley Kubrick offre al mondo quel 23 maggio 1980Shining ha cambiato la rappresentazione della paura, la sua declinazione, ce ne ha mostrato la vera origine: dentro di noi.

Shining di Stanley Kubrick, un film capace di ridisegnare i pilastri di un genere

Parlare di Shining, a 45 anni esatti dalla sua uscita in sala, significa confrontarsi con un film che, ancora oggi, ha pochi pari dal punto di vista estetico e semantico nell’universo horror. Difficile trovare infatti un’opera cinematografica che sia stata capace di essere così innovativa, di aprire le porte ad un nuovo concetto di rappresentazione delle nostre paure. Un film che si basa dul fortissimo legame tra il male e la società, i suoi diktat, la natura umana, un male che non proviene dall’esterno. Una visione certamente pessimistica, ma non inusuale per Stanley Kubrick, il cui cinema del resto ci ha sempre parlato in termini simili dell’umanità, che insegue il sogno di un controllo totale sulla propria esistenza e sul feroce ecosistema che lo circonda. Shining quel sogno lo distrugge mattone dopo mattone, fin dall’incipit, fin dall’introduzione apparentemente così inoffensiva dei personaggi e dell’Overlook Hotel. A guardarlo oggi, dopo tanto tempo, questo film appare come la risposta alla domanda: che cos’è l’orrore?

Per Kubrick la risposta è semplice e riguarda l’ossessione, che causa una perdita totale di empatia, lucidità, che dall’emotivo, poi si muove verso il mondo reale, il fisico, con il cercare al di fuori di sé le ragioni del proprio fallimento. Questa impotenza ancora oggi Jack Nicholson la rappresenta con ogni possibile sfumatura in quella che è e rimane, una delle più grandi interpretazioni che si siano mai viste nel genere e non solo. Kubrick arriva alla decisione di girare Shining dopo il il terribile e ingiusto flop subito con un altro dei suoi capolavori più significativi, quel Barry Lindon che, a ben pensarci, in comune con il dramma nell’Overlook Hotel ha molto. Su tutti, un uomo perso dietro la propria ambizione irrisolta, il proprio sopravvalutarsi. Scelta cristallina, anche commerciale si potrebbe dire da parte del regista, che ha intuito, sa, che l’horror è diventato un investimento sicuro, in quegli anni John Carpenter e Tobe Hopper hanno reso palese quanto il pubblico abbia deciso di decretarne il successo.

Thanksgiving: finalmente Eli Roth è riuscito a fare un horror decente

E l’ha fatto senza affidarsi ai soliti espedienti morbosi e scadenti del torture porn. Il risultato è un buon slasher di stampo classico, zeppo di uccisioni fantasiose e divertenti, munito anche di un efficace commento sociale

L’horror parla della società in crisi, di una nuova violenza. Kubrick ha bisogno di un film per rilanciare la propria carriera, ma ci mette tanto, tantissimo tempo a trovare il romanzo giusto. Stephen King ha scritto Shining qualche anno prima, la sceneggiatura però si distanzierà nel tono, Diane Johnson e Kubrick sanno che a due medium differenti, si accompagna una differente necessità. Sarà solo uno dei tanti motivi per il quale alla fine, a dispetto di un successo incredibile, Stephen King non riuscirà a nascondere di non avere particolare stima del risultato ottenuto da Stanley Kubrick. Tuttavia, anche gli ha dovuto riconoscerne la potenza, la capacità di rinnovare completamente il genere, di aprire una nuova strada. Dal punto di vista visivo, Shining fa rima con steadycam di Garrett Brown. Una delle più grandi innovazioni di quegli anni, non creata per questo film, ma che viene finalmente celebrate in tutta la sua potenza. Da lì in poi verrà utilizzata da tantissimi altri registi in tanti altri generi cinematografici.

Basta pensare ad Aliens – Scontro finale di James Cameron o Salvate il soldato Ryan di Steven Spielberg. Solo uno dei tanti accorgimenti attraverso i quali Stanley Kubrick fa del movimento a seguire o ad anticipare, il tratto distintivo del film. Poi ci sono gli zoom, primissimi piani, panoramiche insistenti, con cui ottenere un’attenzione che potenzia la tensione, palpabile, del racconto. Una tattica che diventa palese fin da quando facciamo la conoscenza di Jack Torrence (Jack Nicholson), sposato con Wendy (Shelley Duvall), genitori del piccolo Danny (Danny Lloyd). Una famiglia apparentemente normale, ma che Kubrick già saggiamente illumina di una luce inquietante, che nasce da lui, da Jack. Scrittore fallito, alcolizzato, afflitto da un blocco creativo, accetta quel ruolo di custode di un hotel che la splendida fotografia di John Alcott, rende profondamente inquietante. Abbiamo una continua saturazione dei colori, un esaltare il gioco di luci ed ombre simmetriche, che creano un’atmosfera pregna di paura, violenza e sciagura.

Uno sguardo spietato sull’insoddisfazione dell’uomo moderno

L’Hotel è gigantesco, enorme, eppure ci sentiamo come vittime di una crescente claustrofobia, in mezzo a quelle stanze, saloni, corridoi, che paiono quasi gli arti di un gigantesco mostro, pronto a risvegliare i peggiori demoni dentro Jack. C’è un legame interessante a pensarci, dal punto di vista strutturale e semantico, tra Shining e l’Alien di Ridley Scott. In entrambi il nemico è dentro l’uomo, poi si manifesta verso l’esterno. Che si parli di uno xenomorfo o dei fantasmi che scatenano la furia omicida di Jack, entrambi i film ci danno uno spaccato sociale e antropologico dell’America di quegli anni. Tanto la Nostromo era un microcosmo esemplificativo di una società sessista, classista, così l’Overlook Hotel distrugge l’ideale di focolare domestico. Il maschio non è più protettore, ma carnefice di quel nucleo di cui dovrebbe essere garante. Il barman Lloyd (Joe Turkel), le due gemelle Grady, la donna-cadavere, l’inquietante foto d’epoca con Jack, sono tutte manifestazioni di un male che si trasmette di generazione in generazione.

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